Sostiene Pereira ha tutte le caratteristiche per
essere considerato un romanzo di matrice tedesca, in particolar modo molte sono
le strizzate d’occhio che l’autore, Antonio Tabucchi, fa a Thomas Mann, non a
caso vissuto negli anni in cui si svolge la vicenda, e ad una delle sue opere più
importanti: La Montagna Magica.
Il nome
dello scrittore tedesco infatti è esplicitamente citato nel romanzo: “Ho notato che stava leggendo un libro di
Thomas Mann […] è uno scrittore che amo molto” dice Pereira ad Ingeborg
Delgado, una signora ebrea incontrata durante un viaggio in treno. Non a caso La Montagna Magica si apre con la
descrizione del viaggio in treno del protagonista, Hans Castorp, verso il
sanatorio di Davos; non a caso il successivo treno su cui Pereira salirà lo
condurrà proprio verso un sanatorio dove, oltre alle terapie talassoterapiche,
vengono curati anche i tubercolosi, proprio come nel sanatorio svizzero del
romanzo di Mann.
Ma
questo ci porta alla questione: si tratta di un semplice tributo o c’è qualcosa
che va oltre alcuni ammiccamenti?
Ho
definito Pereira un romanzo tedesco
perché è talmente imbevuto di filosofia e dilemmi metafisici da far passare
Lisbona e la Storia stessa su uno sfondo che solo di tanto in tanto si mostra a
noi così come al protagonista.
Lisbona
è dipinta con tinte impressionistiche: abbiamo l’impressione di vederla ma in
realtà resta sempre celata nel bianco delle pagine. Di lei si affacciano luoghi
defilati che emergono come miraggi nella calura estiva che tutto avvolge. Il
Café Orquìdea, la macelleria ebraica, la redazione e l’abitazione del
protagonista sono tutto ciò che ci viene offerto di una città che stava
cominciando a vivere le conseguenze di una guerra che ancora non era esplosa.
La
stessa Storia resta per quasi tutto il romanzo sullo sfondo proprio come nel
sanatorio di Davos manniano; si fa sentire più che vedere. Anch’essa si mostra
come miraggio nella calura estiva: Manuel, il barista del Café Orquìdea, riporta gli avvenimenti per
sentito dire e l’unico marginale episodio che si manifesta nella prima parte
del libro sono le vetrine infrante della macelleria ebraica.
Questo,
sullo sfondo. In primo piano abbiamo la vicenda esistenziale del grassoccio
giornalista Pereira, riottoso figlio della vita, proprio come l’Hans Castorp di
Thomas Mann. La sua è una vicenda di formazione, da bildungsroman tedesco, che non lo porta soltanto ad abbracciare un
ideale, com’è evidente, ma lo porta ad abbracciare la vita stessa, di cui aveva
dimenticato l’esistenza rifugiandosi in uno stato di “morte apparente”. La vita
del protagonista è interamente proiettata verso il passato, verso la morte: le
stesse reazioni di Pereira verso gli eventi catastrofici che vede sullo sfondo
sono minime, spente. Il suo io si è fermato anni prima quando alla morte della
moglie aveva smesso di lavorare come giornalista di cronaca nera, di
confrontarsi con l’oggi (la cronaca appunto) ed aveva cominciato a rifugiarsi
in un ieri sempre più lontano come lontano è il sorriso del ritratto della
moglie, unico compagno con cui Pereira spesso parla. Il grasso Pereira muore
insieme a sua moglie.
Avvengono
molte cose. Dapprima l’incontro col giovane Monteiro Rossi che Pereira vuole
assumere come praticante proprio perché laureatosi con una tesi sulla morte ma
che si rivelerà invece un tenace araldo della vita. Pereira costringe gli
impulsi vitali di quest’io strabordante in una cartella con la scritta Necrologi: non è pronto per la vita, non
ancora, e allora la maschera dietro il velo della morte. È questo il senso di far scrivere necrologi
anticipati ad un giovane che pensa solo alla vita: lo stesso concetto di
necrologio anticipato indica quanto Pereira rifugga la vita, da cui però è
attratto, come dimostra l’altrimenti inspiegabile simpatia e quasi paternità
(amore?) del protagonista verso il giovane Monteiro Rossi.
Altri
personaggi “vitali” turbano il fragile equilibrio del dottor Pereira: Marta, la
rivoluzionaria compagna di Monteiro, ma soprattutto il dottor Cardoso, che il
protagonista conosce durante il suo soggiorno al “sanatorio” talassoterapico.
Pereira
comincia a scontrarsi insistentemente contro un mondo che ormai aveva
dimenticato, un altro io comincia a prendere il sopravvento sulla sua coorte di
anime. La Storia comincia a farsi avanti dal bianco delle pagine: Manuel
diventa più prodigo di notizie, si cita radio Londra; ma Pereira non riesce
ancora a decidersi, la sua anima, la sua memoria sono ancora ancorate, troppo
ancorate ad un confuso passato.
Finalmente
grazie a consiglio del dottor Cardoso uno spiraglio si apre in quel nebbioso
passato fatto di lutti: “ha bisogno di
dire addio alla sua vita passata, ha bisogno di vivere nel presente, un uomo
non può vivere come le, dottor Pereira, pensando solo al passato”. Cardoso
pone un limite che Pereira da solo non era riuscito a tracciare: le memorie al
passato, l’anima al presente.
Da quel
momento Pereira non parlerà più col ritratto di sua moglie, che a quel punto
avrà una funzione tutta presente (occultare alcuni documenti falsi) e lo
aiuterà nel futuro. Adesso la Storia può irrompere con tutta la sua potenza ed
i suoi orrori proprio come La Montagna Magica si chiude con il prepotente arrivo della Grande Guerra: Pereira si accorge tutto d’un tratto di dove vive, di cosa gli
accade attorno. Una morte scaccerà la sua morte. Se ne andrà con un ultimo,
violento saluto al suo Portogallo, portando con sé il ritratto di sua moglie
(ma possiamo immaginare che non ci parlerà più).
Tabucchi
usa Mann per produrre qualcosa di completamente originale, di moderno, per
donarci, con un romanzo che in gran parte tratta di morte, un impulso
vitalistico senza eguali.
“E le mie memorie, chiese Pereira, e quello
che ho vissuto? Sarebbero solo una memoria, rispose il dottor Cardoso, ma non
invadrebbero in maniera così prepotente il suo presente…”
A cura di Leonardo CANOVA
A cura di Leonardo CANOVA

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