giovedì 19 dicembre 2013

Sostiene Pereira: un romanzo "tedesco".


Sostiene Pereira ha tutte le caratteristiche per essere considerato un romanzo di matrice tedesca, in particolar modo molte sono le strizzate d’occhio che l’autore, Antonio Tabucchi, fa a Thomas Mann, non a caso vissuto negli anni in cui si svolge la vicenda, e ad una delle sue opere più importanti: La Montagna Magica.
Il nome dello scrittore tedesco infatti è esplicitamente citato nel romanzo: “Ho notato che stava leggendo un libro di Thomas Mann […] è uno scrittore che amo molto” dice Pereira ad Ingeborg Delgado, una signora ebrea incontrata durante un viaggio in treno. Non a caso La Montagna Magica si apre con la descrizione del viaggio in treno del protagonista, Hans Castorp, verso il sanatorio di Davos; non a caso il successivo treno su cui Pereira salirà lo condurrà proprio verso un sanatorio dove, oltre alle terapie talassoterapiche, vengono curati anche i tubercolosi, proprio come nel sanatorio svizzero del romanzo di Mann.
Ma questo ci porta alla questione: si tratta di un semplice tributo o c’è qualcosa che va oltre alcuni ammiccamenti?
Ho definito Pereira un romanzo tedesco perché è talmente imbevuto di filosofia e dilemmi metafisici da far passare Lisbona e la Storia stessa su uno sfondo che solo di tanto in tanto si mostra a noi così come al protagonista.
Lisbona è dipinta con tinte impressionistiche: abbiamo l’impressione di vederla ma in realtà resta sempre celata nel bianco delle pagine. Di lei si affacciano luoghi defilati che emergono come miraggi nella calura estiva che tutto avvolge. Il Café Orquìdea, la macelleria ebraica, la redazione e l’abitazione del protagonista sono tutto ciò che ci viene offerto di una città che stava cominciando a vivere le conseguenze di una guerra che ancora non era esplosa.
La stessa Storia resta per quasi tutto il romanzo sullo sfondo proprio come nel sanatorio di Davos manniano; si fa sentire più che vedere. Anch’essa si mostra come miraggio nella calura estiva: Manuel, il barista del  Café Orquìdea, riporta gli avvenimenti per sentito dire e l’unico marginale episodio che si manifesta nella prima parte del libro sono le vetrine infrante della macelleria ebraica.
Questo, sullo sfondo. In primo piano abbiamo la vicenda esistenziale del grassoccio giornalista Pereira, riottoso figlio della vita, proprio come l’Hans Castorp di Thomas Mann. La sua è una vicenda di formazione, da bildungsroman tedesco, che non lo porta soltanto ad abbracciare un ideale, com’è evidente, ma lo porta ad abbracciare la vita stessa, di cui aveva dimenticato l’esistenza rifugiandosi in uno stato di “morte apparente”. La vita del protagonista è interamente proiettata verso il passato, verso la morte: le stesse reazioni di Pereira verso gli eventi catastrofici che vede sullo sfondo sono minime, spente. Il suo io si è fermato anni prima quando alla morte della moglie aveva smesso di lavorare come giornalista di cronaca nera, di confrontarsi con l’oggi (la cronaca appunto) ed aveva cominciato a rifugiarsi in un ieri sempre più lontano come lontano è il sorriso del ritratto della moglie, unico compagno con cui Pereira spesso parla. Il grasso Pereira muore insieme a sua moglie.
Avvengono molte cose. Dapprima l’incontro col giovane Monteiro Rossi che Pereira vuole assumere come praticante proprio perché laureatosi con una tesi sulla morte ma che si rivelerà invece un tenace araldo della vita. Pereira costringe gli impulsi vitali di quest’io strabordante in una cartella con la scritta Necrologi: non è pronto per la vita, non ancora, e allora la maschera dietro il velo della morte. È  questo il senso di far scrivere necrologi anticipati ad un giovane che pensa solo alla vita: lo stesso concetto di necrologio anticipato indica quanto Pereira rifugga la vita, da cui però è attratto, come dimostra l’altrimenti inspiegabile simpatia e quasi paternità (amore?) del protagonista verso il giovane Monteiro Rossi.
Altri personaggi “vitali” turbano il fragile equilibrio del dottor Pereira: Marta, la rivoluzionaria compagna di Monteiro, ma soprattutto il dottor Cardoso, che il protagonista conosce durante il suo soggiorno al “sanatorio” talassoterapico.
Pereira comincia a scontrarsi insistentemente contro un mondo che ormai aveva dimenticato, un altro io comincia a prendere il sopravvento sulla sua coorte di anime. La Storia comincia a farsi avanti dal bianco delle pagine: Manuel diventa più prodigo di notizie, si cita radio Londra; ma Pereira non riesce ancora a decidersi, la sua anima, la sua memoria sono ancora ancorate, troppo ancorate ad un confuso passato.
Finalmente grazie a consiglio del dottor Cardoso uno spiraglio si apre in quel nebbioso passato fatto di lutti: “ha bisogno di dire addio alla sua vita passata, ha bisogno di vivere nel presente, un uomo non può vivere come le, dottor Pereira, pensando solo al passato”. Cardoso pone un limite che Pereira da solo non era riuscito a tracciare: le memorie al passato, l’anima al presente.
Da quel momento Pereira non parlerà più col ritratto di sua moglie, che a quel punto avrà una funzione tutta presente (occultare alcuni documenti falsi) e lo aiuterà nel futuro. Adesso la Storia può irrompere con tutta la sua potenza ed i suoi orrori proprio come La Montagna Magica si chiude con il prepotente arrivo della Grande Guerra: Pereira si accorge tutto d’un tratto di dove vive, di cosa gli accade attorno. Una morte scaccerà la sua morte. Se ne andrà con un ultimo, violento saluto al suo Portogallo, portando con sé il ritratto di sua moglie (ma possiamo immaginare che non ci parlerà più).
Tabucchi usa Mann per produrre qualcosa di completamente originale, di moderno, per donarci, con un romanzo che in gran parte tratta di morte, un impulso vitalistico senza eguali.

E le mie memorie, chiese Pereira, e quello che ho vissuto? Sarebbero solo una memoria, rispose il dottor Cardoso, ma non invadrebbero in maniera così prepotente il suo presente…”

A cura di Leonardo CANOVA

Nessun commento:

Posta un commento